A Cinisi l’opera Igor Scalisi Palminteri che ricorda l’esproprio delle terre per realizzare l’aeroporto

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Tutto pronto per l’inaugurazione del nuovo dipinto di Igor Scalisi Palminteri, realizzato a Cinisi, in corso Umberto, all’angolo con via Papa Giovanni XXIII, dove nella zona del ‘Mulinazzo’, nel 1968, furono espropriate le terre degli abitanti per la realizzazione della seconda pista dell’aeroporto di Punta Raisi, oggi intitolato a Falcone e Borsellino.

La realizzazione del dipinto nasce dallo stimolo di chi quell’esperienza da bambino l’ha vissuta in prima persona: “Ho accettato con molto piacere e senso di responsabilità l’invito del signor Pino Ferrara – racconta Igor Scalisi Palminteri -, che ha vissuto un’esperienza molto forte. Come sappiamo, infatti, per realizzare le piste, prima nel 1958 poi nel 1968, son state espropriate le terre. La costruzione dell’aeroporto era probabilmente necessaria per come si spostano le persone oggi nel mondo, ma qui non si vuole fare una disquisizione su cosa sia giusto o non lo sia. Piuttosto questo dipinto nasce dal desiderio di fare memoria: quelle famiglie che avevano quelle terre, che avevano quelle case e che da quello traevano il loro sostentamento sono state in qualche modo private di tutto: della loro storia, della loro memoria, dei loro ricordi e del loro lavoro. È questa ferita vogliamo raccontare, l’esperienza di queste persone, di quando erano bambini. Chi c’era e ha assistito alla realizzazione del dipinto, ha riconosciuto i volti, la casa e il pozzo che ho riprodotto. È la nostra storia, la nostra memoria che viene dipinta su un muro, che diventa come un libro”.

“Passato al sole” è il titolo dell’opera, evocativo dello stile di vita e delle tradizioni dei luoghi dove è nato l’aeroporto prima che le terre fossero espropriate, con un richiamo alla nuova infrastruttura che si andava a definire: “Ho preso diversi scatti e li ho messi in un’unica istantanea – spiega Scalisi Palminteri – con questo colore un po’ ‘seppiato’, proprio a significare il senso del passato che non c’è più. Questa donna di cui non si vede il volto è il centro del dipinto, una donna il cui viso non si vede perché rappresenta l’intera comunità. Il fulcro dell’opera è il suo braccio forte in basso, in primo piano, che rappresenta il lavoro manuale che dava il senso alle giornate e alla vita, il senso di guadagnarsi da vivere: la donna sta preparando una conserva, il cibo, il sostentamento. Una cosa ancestrale. Sopra, in questo cielo che ho dipinto – spiega ancora l’artista -, in una dimensione onirica, questo corteo con un messaggio, ‘Potere contadino’, una frase forte che richiama al senso del bisogno che avevano quelle comunità. C’è tutto questo e tanto altro in questo muro che ho dipinto qui a Cinisi”.  

L’opera, come scritto, è stata realizzata su impulso di chi ha vissuto l’esperienza dell’esproprio, Pino Ferrara: “Ormai sono più di 50 anni dall’esproprio delle terre del Mulinazzo per la realizzazione della ‘seconda pista’ – ripercorre -. Una sottrazione dolorosa come fosse stato un vero e proprio scippo del tempo presente, una confisca atroce del tempo futuro, una cinica amputazione dei destini di uomini e cose. E così come ogni amputazione traumatica lascia la percezione anomala e dolorosa che quella parte di corpo che non c’è più continui illusoriamente a essere lì, esattamente nel posto che prima occupava. Così è stato nella mia personale storia il ricordo del Mulinazzo: una dolorosa sensazione, la nostalgica persistenza di un mondo d’improvviso cancellato. Nel tempo – prosegue il racconto – si sono susseguite molteplici pubblicazioni di libri riguardanti quanto accaduto, di testi e immagini in grado di rievocarne la viva memoria. Io ero lì, ero un bambino, c’era mio padre, c’era mia madre, c’era mia sorella, c’erano uomini e donne e storie di vita. C’era una terra su cui il sacrificio seminato si misurava in gocce staccate una ad una da fronti troppo impavide al sole. E il sudore era succo prezioso d’onestà e di libertà, saporito come il mare a quella terra da sempre e per sempre avvinghiato. Nella qualità di testimone diretto dei luoghi, dei fatti e degli uomini di un passato che al sole ha regalato la sua bellezza e poi al sole ha stinto la sua stessa esistenza, ritengo doveroso nei confronti dei miei genitori, dei miei parenti, e dei miei amici promuovere la realizzazione di un murale dedicato a tutti, a chi ancora presente ma soprattutto alle nuove generazioni – conclude -, perché possano guardando quest’opera interrogarsi nell’intimo su di una storia non molto lontana a cui loro stessi appartengono, e che il tempo, senza l’ausilio dell’arte, rischia una seconda volta di cancellare”.