Cento anni dalla nascita di Nino Manfredi, il comico della porta accanto dall’ironia malinconica

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Era il 22 marzo del 1921 quando a Castro dei Volsci, in piena ciociaria, nasceva Saturnino Manfredi, in arte Nino, il “comico della porta accanto” che con la sua “ ironia malinconica” ha saputo conquistare il grande pubblico e i grandi registi grazie alla sua semplicità che, in realtà, era il segreto della sua arte. Protagonista per oltre quarant’anni in teatro, al cinema e in televisione, con la sua cifra stilistica inconfondibile, è innegabile che le sue origini in una terra di “terra e lavoro” abbiano costituito il motto perfetto per la sua arte, fortemente intrisa di tenacia, concretezza, sudore.

Di origini contadine – anche se il padre poi divenne maresciallo in polizia ottenendo il trasferimento a Roma – Nino fu un adolescente irrequieto che si innamorò della recitazione in seguito ad un’esibizione della compagnia teatrale di De Sica a cui assistette nel sanatorio in cui era stato ricoverato per aver contratto la tubercolosi. Dopo questo “ colpo di fulmine” decise di “mettere la testa a posto” torna ndo all’università e, contemporaneamente, iscrivendosi all’accademia d’arte drammatica.

Qui grazie al suo mentore Orazio Costa debutta in teatro con Tino Buazzelli nella compagnia Maltagliati-Gassman, recitando principalmente ruoli drammatici di autori contemporanei. Passa poi alla scuola del Piccolo Teatro di Milano con Giorgio Strehler e infine, di nuovo a Roma, con Eduardo De Filippo. La svolta si ebbe all’inizio degli anni ‘50 quando, dopo una lunga gavetta, insieme agli amici Paolo Ferrari e Gianni Bonagura si impone alla radio in siparietti leggeri, tra varietà e commedia musicale . In radio trova altri maestri come Vittorio Metz, Dino Verde, Marcello Marchesi che ne intuiscono il talento comico, specie nelle controscene.

Negli anni ‘60 conquista il Teatro Sistina con “Un trapezio per Lisistrata” (partner di Delia Scala) e poi trionfa nel ’62 con “Rugantino”, sempre grazie a Garinei&Giovannini. Sarà poi il cinema a diventare la sua vera casa alla metà degli anni 50 ha la prima occasione reale con Antonio Pietrangeli e Mauro Bolognini sebbene l teatro rimanga per tutta la vita sua “amante segreta”. Nel 1955 sposa l’adorata Erminia Ferrari (all’epoca indossatrice) che gli darà tre figli e sarà la sua compagna fino alla fine. Intanto, a Cinecittà, abbandona il neorealismo e porta un tono piu’ leggero nella descrizione della gente comune, ruolo che gli calza a pennello e che saprà sviluppare in una molteplicità di caratteri come il provinciale timido, il contadino astuto, il piccolo borghese in cerca di fortuna, il giovane e impacciato spasimante, solo per citare alcuni tra ì suoi personaggi più amati dal pubblico.

Negli anni 50 arriva in televizione con la mitica “Canzonissima” di Antonello Falqui – in cui trascino’ per una sera anche l’amico ed ex compagno in Accademia, Marcello Mastroianni- , ma sarà il decennio successivo a promuovere definitivamente Nino Manfredi tra i “colonnelli” del cinema grazie alla crescente popolarità della commedia all’italiana. Da “Anni ruggenti” (1962) a “Nell’anno del Signore” (1969) e’ un costante crescendo che va di pari passo con l’affermazione dei suoi registi preferiti, da Dino Risi (“Straziami, ma di baci saziami”) a Ettore Scola (“Riusciranno i nostri eroi”).
Negli anni ’70 arriva il momento d’oro dell’attore che diventando anche regista acquista piena libertà nella scelta delle sue “maschere”: il “mostro” Girolimoni per Damiano Damiani; l’emigrante di “Pane e cioccolata” per Franco Brusati, il baraccato di “Brutti, sporchi e cattivi” ancora con Scola, il prete di “In nome del Papa Re” con l’amico più caro, Luigi Magni.

Nel ‘71 si afferma subito con la regia dell’autobiografico “Per grazia ricevuta” e, successivamente, partecipa a due delle avventure cinematografiche più belle della sua carriera: con Luigi Comencini crea un indimenticabile Geppetto per la versione televisiva di “Pinocchio” (1972) e due anni dopo con Ettore Scola dà vita a quel ritratto corale di una generazione che chiude un’epoca della commedia all’italiana grazie al magico incontro fra lui, Vittorio Gassman, Stefania Sandrelli e Stefano Satta Flores sul set di “C’eravamo tanto amati”.

Grazie al successo in tv si afferma anche per le sue doti canore portando nella hit parade “Tanto pe’canta’”, versione rivisitata del classico di Petrolini, e poi calcando il palcoscenico di Sanremo; dagli anni 80 in poi invece farà delle apparizioni “random” persino nella pubblicità di una nota marca di caffè. Nel 2003, “La fine di un mistero” con la regia di Miguel Hermoso gli è valso le lodi della critica e il Premio Bianchi alla mostra di Venezia. Subito dopo la fine delle riprese un ictus lo porta in fin di vita e, dopo un rapido succedersi di miglioramenti e ricadute, Nino Manfredi muore a 83 anni il 4 giugno del 2004.